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"Conflitti di notizie": la guerra raccontata da TV e Internet
Salvo sporadici casi, l’informazione di guerra è bugiarda, incompleta, filtrata, schierata. Non sempre però è possibile nascondere la realtà: Internet moltiplica tutte le notizie che la comunità ritiene valide e di grande interesse.
Per lo scarso controllo su chi fruisce della Rete, è possibile pubblicare pressoché ogni tipo di documento: messaggi minatori contro governi, rivendicazioni di attentati, false liberazioni di ostaggi.
Si possono ricordare diverse situazioni, in cui il web ha messo in crisi le TV.
All’inizio del conflitto in Iraq la donna soldato Jessica Lynch fu ferita, per essere liberata dopo tre giorni di prigionia: venne citata in 15 pezzi della Cnn. Della giovane americana Rachel Corrie, caduta nello stesso periodo sotto i cingoli di un bulldozer israeliano nella striscia di Gaza, si parlò solo in tre servizi.
La Rete ribaltò quello stato di cose, con tremila citazioni sul web, compresa quella dell’organizzazione volontaria cui aderiva la sfortunata ragazza.
Quando sfuggirono di mano le riprese fatte nel “carcere delle torture” di Abu Graib, dove meschini soldati e soldatesse sottoponevano i guerriglieri ribelli a vere sevizie, l’America subì un duro colpo.
La circolazione tramite Internet delle immagini riprese da una videocamera o da un cellulare di ultima generazione, aveva messo alle strette la TV filo-militarista, che non poteva negare questi soprusi disumani.
Ne conseguì un fastidioso e angosciante imbarazzo, sia per quanto riguardo l’esercito, sia per il governo americano.
In un documento confidenziale destinato ai generali americani in Iraq e pubblicato a inizio novembre 2004 dal quotidiano Washington, emerge che altri abusi erano stati commessi prima di questi. Il rapporto rivela che le squadre composte da Army Rangers, Delta Force e agenti della Cia, avrebbero usato metodi violenti per costringere i prigionieri a parlare già alla fine del 2003.
Inoltre viene condannato anche il metodo di arrestare parenti o conoscenti delle persone ricercate, in particolare donne, per costringere gli individui fuggiti a consegnarsi alle forze militari Usa.
Sempre nel novembre 2004, durante il massiccio attacco sferrato per conquistare la città di Falluja viene ripreso un altro evento crudele.
Un reggimento di soldati della marina, seguito da una troupe della Nbc, fa irruzione in una moschea precedentemente bombardata; a terra, nella grande sala semidistrutta, giacciono dieci cadaveri e 5 feriti, alcuni sono agonizzanti.
Un marine ripete per due volte: «Questo fa finta di essere morto», poi uccide il ferito con un colpo alla testa. Un altro uomo è ancora vivo, implora di avere salva la vita, dicendo: «Sono ferito, posso darvi informazioni». Il video termina qui; le riprese sono state trasmesse da quasi tutti i grandi network americani e dalla TV irachena.
Il marine indagato è stato allontanato dal campo di battaglia, il Pentagono ha aperto un'inchiesta, ma il danno provocato è enorme.
Per effetto di Internet e della collaborazione di Al Jazeera, sono state trasmesse le crude immagini di ostaggi giustiziati. Il loro contenuto, dal carattere estremamente forte, ha scosso le TV di tutto il mondo e più in generale l’umanità.
Mai erano state mostrate, a un livello così esteso, filmati di esecuzioni capitali così dettagliate. Questo è dovuto soprattutto allo sviluppo della TV araba e ai suoi collegamenti con i terroristi, che forniscono i filmati.
Qualche TV della cosiddetta “coalizione” (a favore dell’invasione in Iraq) ha mostrato quelle atroci riprese; altre si sono schierate a favore della pietà e della prudenza, decidendo di non proporle; diverse hanno tentato inutilmente di trovare una via di mezzo, bloccando le immagini al momento dell’esecuzione, ma trasmettendo il suono e creando così, nello spettatore, un senso immaginario della brutalità dell’uccisione.
Con una semplice ricerca su Internet, invece, qualunque ragazzino un po’ esperto avrebbe potuto trovare l’intero filmato scaricabile gratuitamente, senza tagli o censure.
Un forte impatto hanno lasciato le suppliche degli ostaggi. In Gran Bretagna, le immagini dell’inglese Bigley hanno avuto ripercussioni notevoli, soprattutto verso il Premier Blair, accusato da buona parte dell’opinione pubblica di non aver fatto il possibile per liberarlo. Attraverso implorazioni strazianti, il rapito interpellava il Primo Ministro, chiedendo un aiuto e sottolineando che lui era il solo che potesse salvarlo.
La strategia malvagia dei terroristi ha proprio lo scopo di muovere accuse contro i nemici, mettere in discussione i governi, agghiacciare le persone.
Un simile episodio ha coinvolto quel giovane escursionista giapponese che, finito nelle mani dei ribelli, fu imprigionato e giustiziato, non prima di implorare il proprio governo a ritirare le truppe.
Tutto è reso più facile dall’effetto mediatico; senza le immagini crude di spietate esecuzioni, la gente sarebbe meno scossa e non avrebbe impresso nella mente l’atrocità della guerra.
Inoltre, la TV si basa sulla presunta “memoria corta” degli spettatori. Smettendo di parlare di certi eventi, essa cerca di far scordare gli eventi più sconvenienti.
Così è successo che, dopo l’uccisione di ostaggi americani o soldati alleati, se ne parlasse a lungo i primi giorni dopo l’accaduto, indugiando sulla disperazione dei famigliari. Nei giorni in cui si glorifica un attacco ai covi terroristici, però, i tragici eventi vengono trascurati da molti network americani e europei.
Si dà spazio ai successi ottenuti, magari sorvolando sul numero di civili innocenti, coinvolti nell’assalto.Proprio gli incolpevoli di una guerra sono i più trascurati dai mezzi di informazione. Quando viene conquistato un lembo di terra nemico, possono perire decine di donne e bambini senza colpa: le TV meno solidali si limitano a fare la conta, o peggio ancora, mettono in risalto solo la riuscita dell’attacco.
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