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Legge 150, progressi sì ma non ancora per tutti
Nonostante rare eccezioni, tra cui vale la pena citare quella del Comune di Roma che proprio recentemente ha approvato un provvedimento con cui si assicura ai venti giornalisti in servizio presso l’Ufficio Stampa il riconoscimento del diritto al versamento dei contributi previdenziali all’Istituto Nazionale di Previdenza dei Giornalisti Italiani con effetto retroattivo al 1° gennaio 2001, la situazione si presenta ancora a macchia di leopardo. In questo contesto, dopo l'ultima assemblea nazionale degli Uffici Stampa svoltasi a Roma il 22 giugno, alcuni spunti di riflessione possono rivelarsi utili e appropriati. E se a farsene portavoce è un collega giornalista, operativo presso un ente pubblico con una discreta esperienza maturata nella comunicazione istituzionale, la testimonianza può aiutare a comprendere l’attualità del problema.
Una conquista professionale
L’adozione del provvedimento, oltre a rappresentare un passo decisivo nell’attuazione della normativa sugli uffici stampa pubblici, consente al Comune di Roma di collocarsi nel novero degli enti che, primi in Italia, hanno applicato correttamente la parte previdenziale della disciplina contenuta nella legge 150 del 7 giugno 2000. La legge in questione e altri provvedimenti correlati offrono esaurienti indicazioni che consentono di valorizzare, al meglio delle possibilità, le professionalità presenti nelle strutture di comunicazione della Pubblica Amministrazione. In particolare oltre alla legge n. 150 del 7 giugno 2000, che disciplina le attività di informazione e comunicazione, il Dpr n. 422 del 21 settembre 2001 che, in applicazione di tale legge, disciplina i titoli di accesso a tale attività, la "Direttiva sulle attività di comunicazione delle pubbliche amministrazioni", del 7 febbraio 2002 che individua la comunicazione come attività fondamentale della Pubblica amministrazione, definendone le attività e le strutture.
Il ruolo del precariato
Tale valorizzazione, oltre a sfociare nella costituzione di un profilo professionale adeguato alla preparazione e all’esperienza maturata dagli operatori addetti alla comunicazione istituzionale, deve anche tenere nella dovuta considerazione che ancora oggi molti colleghi giornalisti, con una lunga esperienza maturata alle spalle, si trovano a lavorare in una condizione di precariato in vaste aree della Pubblica Amministrazione. Sul piano pratico possono contare soltanto su contratti a tempo di collaborazione coordinata e continuativa (i famigerati co.co.co. dal vago sapore gallinaceo senza il diritto al Tfr - Trattamento di fine rapporto) che, contrariamente a quanto indicato nella normativa approvata, nulla hanno a che vedere con l’auspicato inquadramento professionale di categoria. Eppure nonostante ciò continuano a esercitare attività di comunicazione interna ed esterna, elaborano progetti, piani di comunicazione e di marketing, promuovono e sviluppano iniziative nel campo dei new media per migliorare i servizi nei riguardi dell’utenza.
Il giornalista nella Pubblica Amministrazione
Una realtà che merita di essere adeguatamente valutata, soprattutto in questo particolare momento storico in cui si discute di superamento della logica del precariato, in relazione alla funzione e al ruolo di “peso” del giornalista che, anche nella Pubblica Amministrazione, è un punto di riferimento per la sua capacità di assicurare trasparenza, chiarezza e tempestività alla comunicazione istituzionale. Soltanto in questo modo, e nello spirito di quanto contenuto nella direttiva del 7 febbraio 2002, la comunicazione pubblica cesserà di essere un segmento aggiuntivo e residuale dell’azione della Pubblica Amminsitrazione e diventerà un utile strumento per dare piena e completa attuazione al processo di cambiamento e condivisione delle rinnovate missioni istituzionali. Il tutto facendo leva su operatori dell’informazione e comunicazione che, in quanto competenti e motivati, meritano di essere adeguatamente inquadrati e valorizzati in quanto strumenti fondamentali del processo di innovazione e semplificazione in atto.
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