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L'ennesimo sciopero dei giornalisti. Un autogol?



Ennesimo sciopero dei giornalisti italiani.
Non era mai successo con la frequenza degli ultimi tempi. Questo lo stato delle cose. E’ solo una questione di contratto?

A dar retta al comunicato Rai non parrebbe. Gli operatori dell’informazione si sentono assediati dalle pressioni degli editori e minacciati dall’imperio della precarietà eretta a sistema. Scioperano tre volte in due mesi.

E visto che non è solo un problema contrattuale, significa che l’informazione versa in una condizione drammatica.

Orbene, trattandosi di una categoria la cui ragione consiste nel mettere in circolazione i fatti e le idee che strutturano il racconto della nostra vita, essa dovrebbe riflettere su un fatto elementare. Quanto e come si è adoperata per raccontare adeguatamente - ossia senza timori e servilismi - il mondo del lavoro, che in molti settori conosce condizioni anche peggiori?

Capisco che il commento possa sembrare facile, demagogico, populistico. Epperò. Bisognerebbe spiegarlo ai metalmeccanici a 900 euro al mese. Agli insegnanti, il cui rinnovo del contratto è stato millantato come un adeguamento a fantomatici stipendi europei da organi di stampa corrivi e compiacenti, i quali tendono a diffondere cifre inverosimili senza preoccuparsi di verificarne la fondatezza.

Può sembrare facile, demagogico, populistico. Però, le frasi seguenti, che ne concludono il comunicato rivolto ai telespettatori, sono di un giornalista Rai. “In gioco è il vostro diritto a un’informazione indipendente e di qualità.”

Questo è il punto. L’informazione non si rende conto di essere parte di un mondo che non solo ne condivide le questioni sociali e politiche, ma che spesso essa contribuisce a creare. Per questo, la volontà di verità, come la chiamava Foucault, non può essere invocata solo davanti a un contratto scaduto. O comunque a un problema di categoria, ché anzi, per tutto ciò che l’informazione rappresenta, è tenuta a rispettare un codice di responsabilità del tutto peculiare. Su una scala non meno vasta di quella politica.

E’ in nome di questa responsabilità che la chiusa del comunicato Rai rischia di realizzare un autogol clamoroso – non perché, ovviamente, uno sciopero non si debba fare, ma perché “l’informazione indipendente e di qualità” è esattamente quella di cui il pubblico – puta caso, milioni di individui che problemi col lavoro li hanno da tempo, per dire – lamenta la mancanza.

Quella chiusa, in tutti questi anni di informazione spesso imbarazzante, quella sì che puzza di demagogia. Le parole sono importanti. Un giornalista dovrebbe saperlo. E quando spiega al pubblico perché sciopera, dovrebbe fare attenzione a quelle che sceglie.

(inserito il 10/12/2005)

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