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Il "Reality Show": ma in che tv viviamo!

di veronica alice muzio

Il Grande Fratello è un vero e proprio evento mediatico. Atteso, discusso, commentato, non passa mai inosservato. Ma quanti si sono chiesti come nasce questa iniziativa? Proviamo a tracciarne l'origine.

Contrariamente alla sua faccia da “americanata”, il format di BB è olandese. Dopo aver sconvolto con le sue scene talvolta crude (sesso, risse) la patria natia, BB è sbarcato in Germania e Spagna, per approdare finalmente agli USA. Ma gli americani, grandi esageratori di tendenze, non si sono limitati ad importare il format e mandarlo in onda: nonostante gli scoraggianti ascolti ottenuti, la Cbs ha deciso di continuare col filone voyeuristico, e ha vinto la battaglia dell’audience con Survivor, dove i concorrenti devono sopravvivere su un isola deserta (ma ovviamente non sguarnita di telecamere).

Forti degli elevati ascolti ottenuti stavolta, le tv tutte si son lanciate a proporre decine di altre trasmissioni minori, ma sempre basate sullo scrutare altra gente che vive: in Italia, Rai come Mediaset (più Mediaset che Rai, in realtà) negli ultimi mesi sono state un proliferare di Saranno Famosi, SMS, The Bar, Pop Star, Il Protagonista, e chi più ne ha più ne metta. E non sempre hanno ottenuto i brillanti risultati sperati: Survivor, grande successo negli States, da noi è stato un flop, e con lui parecchi altri show son passati in sordina, ignorati da pubblico e critica.

Forse il pubblico, nei drammatici momenti di guerra che stiamo vivendo, sarebbe più interessato a trasmissioni impegnate? No, il problema della Reality Show non sta tanto nella sua congenita frivolezza, quanto nella sua facile alterabilità. Ci dicono che è tutto vero, tutto in diretta, senza regia e senza copione. Ma c’è da crederci? Il sospetto che tutto ciò che ci vien spacciato per vero sia in realtà frutto di preparazione a tavolino, non può non venire.

Ma, che ci vogliamo fare? Che sia più puro del diamante o più costruito di Beautiful, il Reality Show sembra proprio essere la carta che la tv generalista ha deciso di giocare per i prossimi due secoli. Per alcuni, anzi (vedi Italia Uno, l’emittente Italiana che più si è buttata su questo genere) questa strada è più che una brillante trovata di mercato: è una promessa. Suggellata producendo trailer incoraggianti tipo: scritta bianco su nero “Andy Wharol ha detto che nel futuro tutti saranno famosi per quindici minuti” sequenza di facce, una ventina, nuova scritta bianco su nero: “Cominciamo da tre secondi”.

E, per chiudere citando un ultimo esempio di tv-verità, seppur non reale, sceglierei “Sick Sad World”, (“Questo Triste Mondo Malato”) lo show preferito dall’adolescente americana depressa del cartoon di MTV, Daria Morgendorfer.

(inserito il 16/01/2002)

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